La tentazione di cavalcare la proficua onda dell’attivismo sociale è davvero invitante per le imprese. Ma oggi l’attivismo dei brand non può che essere autentico.
Andrea Fagnoni di Ipsos ha raccontato alla Milano Digital Week alcuni dati della ricerca condotta dall’Osservatorio Civic Brands e Ipsos. Una nutrita fetta di pubblico sembra avere difficoltà ad attribuire fiducia a un brand: il 44% ritiene che le imprese cerchino solo il profitto, quando comunicano le loro buone intenzioni e azioni a livello sociale.
Il 37% di aziende italiane è percepito come degno di fiducia quando parla di autenticità nel proprio impegno civile. C’è spazio per la fiducia, ma c’è strada da fare.
Azioni che parlano
La fiducia è per i brand quel biglietto di ingresso che scegliamo di dare o meno quando ci addentriamo nel bosco fitto di informazioni, là dove molte mele rosse di Biancaneve pendono da ogni ramo.
Io una personalissima e instabile idea me la sono fatta. Confido nel potere delle azioni e del silenzio. Ho fiducia in quegli zitti che parlano solo quando hanno davvero qualcosa di rilevante da dire. Però agiscono, fanno cose utili, senza stare a guardare.
E l’altra cosa in cui confido è la capacità di sintesi, la mia.
Ho un cervello e lui ha a disposizione una miriade di informazioni: sono sempre più alla ricerca di una realtà in cui sono io a creare i collegamenti tra i puntini e stabilire il racconto.
Mi interessa un reale in cui è chiaro cosa siano le cose e cosa siano invece le parole intorno alle cose. Forse in un mondo così, le parole che riguardano le cose diventerebbero di meno, ma ce ne sarebbero delle più utili, capaci di risolvere alcune cose non vanno.
Siamo noi a dettare l’agenda
Il potere è nelle nostre mani, o meglio nei nostri acquisti.
Comprare è oggi come votare. E le imprese che vorranno stare sul mercato da qui in avanti potranno farlo solo occupandosi di bisogni e questioni sociali rilevanti, e sempre più impellenti.
Sono chiari i giovani autori delle tesi del
Newtrain Manifesto e se non bastasse sono chiare le persone, intervistate da Ipsos e dall’Osservatorio Civic Brands, che nel 63% dei casi considerano le aziende i soggetti deputati a occuparsi del mondo.
Paolo Iabichino dice da un po’ che dove istituzioni e politica hanno fallito ecco che restano le imprese, attori normalmente economici, a dover gestire il sociale.
Che l’impresa abbia influenzato la comunità, la politica, non è di per sé una novità, questo succede da sempre e ci sono molti esempi di forti influenze come il potere di certe comunità imprenditoriali nelle agende normative degli Stati.
Ma oggi a cambiare è l’obiettivo dell’influenza, che si sposta dal solo bene dell’impresa al bene comune. Oggi ci sono parole che esortano le imprese a cambiare indirizzo e sono autenticità di intenti e fine della sola ricerca del profitto.
Non valgono più gli intenti di facciata: il consumatore non è mai stato uno stupido, ma oggi ha anche a disposizione un mondo organizzato, ricco e popolato di collegamenti e informazioni, non (del tutto) mediato da chi desidera gestire il pensiero altrui.
Oggi la realtà è sul piatto, per chi la vuole.
Un cibo con cui andarci piano perché a mancare a tavola è il tempo. Manca a tutti e manca per le cose più serie, come il verificare, farsi un’idea il più possibile vera e attendibile, in un mondo intriso di infodemia. Dove anche i più astuti surfer dell’informazione rischiano di essere travolti e schiacciati con forza sul fondale della conoscenza, e non mi riferisco alle sue basi.
E poi c’è che siamo tanti, tantissimi. In tantissimi abbiamo un microfono per dire qualcosa e dirla come fosse vera e indiscutibile, come se non fosse soltanto quello che pensiamo noi, fatto di quel poco che, risucchiati da un reale sempre più incalzante, possiamo fermarci a raccogliere e cercare di capire.
Come si riconosce il civismo del brand?
Nel tempo le cose diventeranno sempre più chiare immagino ma nel frattempo possiamo fare riferimento ad alcune linee guida.
Esistono directory come la lista B Corp (Benefit Corporation) che comprende tutte quelle aziende, in Italia e non, che si distinguono sul mercato perché mentre raggiungono il proprio profitto, si impegnano in modo formale a raggiungere benefici per la comunità e per l’ambiente.
L’impegno è diretto verso i propri dipendenti, la comunità in cui operano, l’ambiente e tutti i soggetti che hanno a che fare in un modo o nell’altro nel progetto di impresa.
La scelta di diventare una B Corp permette all’impresa, tra le altre cose, di dare continuità alla propria mission. Se Roma non è stata costruita in un giorno, bisogna riconoscere che certi obiettivi sono a rischio quando a cambiare sono le condizioni di partenza o le teste a decidere, cosa che può succedere con l’ingresso di nuovi investitori, cambi di leadership, passaggi generazionali.
- Predicare bene, razzolare bene
Grazie ai social è possibile porre attenzione all’autenticità degli intenti dei brand e guardare a come l’impresa si occupa dei propri dipendenti, nel day by day.
Non va bene sbandierare flessibilità, quando poi ai collaboratori non vengono permesse soluzioni di lavoro flessibile che aiutano a trovare una sintesi nei vari impegni quotidiani. Occorre probabilmente attendere, analizzare la propria situazione e fare un percorso organizzativo prima di promuovere la propria sensibilità verso la tutela ambientale .
O ancora che dire della lotta alle disuguaglianze e allo sfruttamento quando a lottare sono aziende che non riconoscono ai collaboratori gli effettivi stipendi e ruoli che ricoprono, perpetuando così uno sfruttamento continuo. Perché per parlare di sfruttamento e cercare di contrastarlo non occorre per forza allontanarsi tanto da casa propria.
L’azienda che agisce in modo sostenibile decide di occuparsi di ciò che vede attorno a sé.
Patagonia Action Works è un esempio sublime di questo atteggiamento. La piattaforma fondata da Yvon Chouinard è pensata per aiutare le cause locali a
reperire le risorse sia umane che economiche per portare avanti i progetti.
Iscrivendosi alla piattaforma è possibile conoscere gli eventi nella propria zona, firmare petizioni, offrire volontariamente il proprio tempo, donare denaro per cause locali.
I fondi raccolti e messi a disposizione dall’impresa finanziano azioni in materia di terra, acqua, clima, comunità e biodiversità.
Non basta impegnare soldi, ci vuole una partecipazione effettiva.
Nella ricerca condotta da
Sodalitas, si parla di
imprenditorialità sociale e di
volontariato d’impresa, per sei aziende su dieci, di varie dimensione, dalle grandi multinazionali fino alle PMI.
Le possibilità sono infinite: interventi dedicati alla rigenerazione dei quartieri, al contrasto dell’abbandono scolastico, all’integrazione degli stranieri. Oppure alla pratica della retribuzione dei dipendenti che si occupano, in orario di lavoro, di volontariato per enti non profit della propria comunità.
Secondo Sodalitas l’esercito dei volontari in orario di lavoro coinvolge il 61% delle aziende grandi e piccole, italiane e straniere, appartenenti a diversi settori dell’economia.
Se il comportamento di un’azienda è diventato il driver che stimola l’acquisto, che cosa succede quando i comportamenti non ci sono?
Anche l’assenza è una scelta, che in questo caso non genera profitto ma mancati guadagni fino ad arrivare a costi.
Sempre dalla ricerca Ipsos e Osservatorio Civic Brands emerge che il 43% delle persone smette di acquistare da brand il cui comportamento è deludente. L’azione e la sua mancanza sono entrambi visibili, dal cittadino e dall’intera società.
è sempre più chiaro che non possiamo stare simpatici a tutti. La scuola Holden, luogo di idee nuove e di pensieri fuori dagli schemi, dice a voce alta nel corso
‘La scrittura civile’ ciò che nel nostro piccolo sappiamo valere, e che oggi vale anche per i brand.
Non possiamo piacere a tutti.
Così è anche per i brand i quali possono però accompagnare e ispirare coloro che sentono urgenti dentro di sé le grandi narrazioni del nostro tempo.
Per tutti gli altri c’è educazione ma fermezza, e ci vuole coraggio. Anche quando il profitto sembra non rispondere con favore e con una parte di pubblico lo scontro sembra inevitabile.
Cambiare linguaggio
Il cambio di rotta delle imprese non è facile, ma non è impossibile e comunque non è più possibile farne a meno.
Ognuno di noi usa un trucco per ricordarsi delle cose importanti che tendiamo a scordarci.
Qualcuno dovrà forse allora scriversi su una mano che ai board manageriali occorrerà inserire nei file Excel i soliti dati sulle vendite e le marginalità, ma anche quelli del profitto sociale e comunitario, i KPI della sostenibilità, in numeri.
Bisognerà ricordarsi di abbandonare la logica della fretta, che accompagna le agende delle imprese di ogni tipo, accettare che non potremo vedere risultati immediati, ricordarsi che la parola urgenza non è quella del time to market, ma quella che riguarda un pianeta che non ci gradisce più.
“È una maratona, non è uno sprint” dice Andrea Fagnoni di Ipsos.
E ci aiuterà anche qui cambiare linguaggio e usare di più la parola collaborazione al posto di competizione.