La tecnologia nelle nostre vite? Sì, quella in grado di generare profitti per chi la produce.

Esiste solo ciò che genera profitto

Nella società in cui viviamo noi usiamo strumenti, servizi e beni che sono frutto di una scelta tra molte possibilità produttive.

La selezione avviene sulla base di ciò che chi produce ritiene sia profittevole per la propria impresa. Ciò che non genera un adeguato profitto, sebbene utile magari e molto migliorativo per la vita di molti individui o del pianeta stesso, semplicemente viene scartato e non diventa mai realtà.
Anche il consumo gioco un ruolo importante nella definizione del reale. Un determinato oggetto o bene o servizio può non incontrare il favore del pubblico e sebbene molto promettente sulla carta, può essere scartato dal mercato. E quindi messo fuori produzione. Si dice in questi casi che è stato fatto un investimento non remunerativo, un buco nell’acqua insomma, un flop.
In sintesi, l’esistenza di un bene o un servizio sul mercato (e la sua permanenza) è il punto di incontro tra cosa l’azienda reputa remunerativo produrre e cosa la persona che consuma decide di acquistare.

Come fanno le aziende a decidere che cosa produrre?

Come si sceglie che cosa produrre? Come possono le persone essere propositive? 
Sulla prima domanda si potrebbe parlare molto: ci sono molti metodi per determinare che cosa può essere interessante produrre, come le analisi di mercato ma anche i sogni stessi di qualcuno che crede fortemente in qualcosa e la vuole vedere realizzata. Steve Jobs ha insegnato che un buon modo sta nel tentare di dare soluzione a un problema che si vive. Magari questo problema non è solo nostro e potremmo scoprire che una moltitudine di persone può trovare molto interessante la nostra soluzione.
I desideri espressi dalle persone sono spesso sondabili dai grandi big del web. Google in primis, con la padronanza dei dati sulle query di ricerca, detiene la conoscenza dei desideri dell’umanità, almeno di quella parte che sa usare e dispone di internet.

Il tempo del R.O.I

Di solito per un’impresa  il successo di un investimento si determina sulla base di quanto valore viene generato dal valore impiegato per l’investimento. Si chiama R.O.I , Return On Investment.
Di solito chi investe non è disponibile ad aspettare troppo tempo per ottenere marginalità per cui anche il fattore tempo di rendimento è molto importante per capire che cosa finisce sulla nostra tavola del reale e che cosa no.
Molto spesso prodotti che vorremmo usare vengono messi fuori produzione, per via della loro lenta penetrazione del mercato.
Le nostre scelte avvengono tra i beni e servizi con capacità remunerativa. Il cliente che vuole una cosa che non è in grado di generare profitto per qualcuno, non la avrà.
Non importa che si tratti di servizi salva vita o di beni così geniali che sarebbero in grado di avere un impatto sul bene comune: fino a che qualcuno non sceglierà di provare a farci profitto, saprà organizzare le cose in modo tale da riuscirci, la cosa non esisterà.
Ad esempio, in tanti vorremmo inquinare meno e saremmo disposti ad acquistare la nostra prossima auto scegliendo un modello elettrico. Ma i distributori per ricaricare auto così fatte sono pochissimi e per ora nessuno si è fatto  seriamente avanti per affrontare un progetto di questa portata. Ed ecco quindi naufragati i nostri sogni ambientalisti al volante.

Internet of sense

Ma se i consumatori avessero la lampada di Aladino che cosa chiederebbero a livello tecnologico?
A rispondere ci prova una ricerca realizzata da Ericsson Consumer & IndustryLab  “10 Hot consumer trends 2030”, su un campione di 7.600 intervistati qualificati, residenti all’interno delle grandi metropoli del pianeta, che usano già oggi la realtà aumentata o virtuale o che intendono utilizzarla in futuro.
Si tratta infatti di un campione di early adopter su un più vasto nucleo di 46 milioni di individui, attendibile quindi per comprendere le tendenze del prossimo decennio.
Tra i desiderata degli intervistati troviamo la possibilità di usare la nostra mente come un’interfaccia e quindi la possibilità di trasformare in modo digitalizzato i nostri pensieri in azione. Per fare ciò serviranno dispositivi nuovi come gli occhiali virtuali.
E ancora, gli intervistati vorrebbero plasmare il proprio mondo sonoro, eliminando i rumori di sottofondo grazie a una fascia auricolare capace di trasmettere i suoni alla nostra mente o parlare in una lingua ed essere simultaneamente tradotti in un’altra. Serviranno a questo scopo auricolari in grado di tradurre fluentemente più lingue.
Anche il gusto avrà il suo prodotto grazie alle papille gustative digitalizzate.
Sarà gradito e richiesto inibire gli odori sgradevoli con profumi o deodoranti digitali o sentire e conoscere gli odori di una natura lontana. Fasce da polso progettate per stimolare i nervi permetteranno di sentire al tatto qualsiasi “oggetto digitale”, anche un altro essere umano per intendersi.
Secondo gli intervistati sarà auspicabile una fusione tra realtà reale e virtuale ma ciò comporterà il bisogno crescente di distinguere ciò che è reale dal resto, si avvertirà pertanto il bisogno di servizi di fact checking avanzato. Sembra che a prendere piede saranno i servizi di certificazioni che garantiscono l’autenticità verificata. Parallelamente si chiederanno servizi come cappe di invisibilità per evitare di lasciare tracce online.
Tutti questi nuovi beni e servizi saranno gli abitanti del mondo nuovo chiamato Internet of sense, qualcosa che riguarda le esperienze immersive in modo molto più spinto di ora, dalle implicazioni non facilmente immaginabili e che sarà terreno di profitto per chi saprà esserne fornitore capace.
Non è scontato che queste novità raggiungano il reale: ciò dipende molto dalle capacità produttive delle aziende e dalle capacità di ricavare profitti in tempi adeguati, oltre che dal favore del mercato.
Tuttavia poiché a spartirsi la torta potrebbero essere ancora una volta le grandi aziende del web, è facile che tutto ciò possa succedere: contare su possibilità di spesa e sperimentazione praticamente illimitate pone la prima pietra di una casa da costruire, in base all’immaginazione.